Grave lutto nella boxe

Morta la leggenda della boxe

La boxe perde una leggenda

Si è spento a 66 anni Marvin Hagler, leggenda della boxe, nella categoria dei pesi medi.

è stato uno dei più grandi pesi medi di tutti i tempi. indimenticabili le sue battaglie, con Vito Antuofermo, Thomas Hearns, Sugar Ray Leonard

il soprannome lo descriveva alla perfezione: ‘The Marvelous’, ‘Il Meraviglioso’. Meravigliosa era la sua tecnica, meravigliosa era la sua forza di carattere sul ring, la capacità di tenere duro per arrivare ai vertici anche nei momenti di difficoltà. Mancino, potente. La boxe ce l’aveva nel sangue, probabilmente da quando, all’età di 13 anni, si trasferì con la famiglia a Brockton, città nota per aver dato i natali al grandissimo Rocky Marciano.

Come nelle storie più belle, una gavetta interminabile, dovette aspettare ben 6 anni e 49 incontri per battersi per il titolo mondiale. Un’attesa incredibile, soprattutto se paragonata a quella di qualche pugile attuale che, anche per il proliferare delle sigle, ha la grande chance dopo pochi match. Quella chance Hagler la ottenne per il 30 novembre 1979, una data che lo scolpì nella memoria degli appassionati italiani. Contro Vito Antuofermo, nato a Palo del Colle emigrato negli Stati Uniti, fu una battaglia selvaggia. Dopo 15 riprese Hagler l’aveva spuntata, ma un finale commovente di Antuofermo, ridotto ad una maschera di sangue (ricordiamo che Antuofermo aveva le sopracciglia “delicate” tendeva molto al sanguinamento, tant’è che risulta il pugile con il record di punti al volto nella sua carriera, ben 359 punti) convinse i giudici a dare il match pari, lasciando il titolo nelle mani dell’italiano che ne era detentore.

Il titolo

Ma l’appuntamento fu solo rinviato. Hagler quella corona se la prese di forza nel 1980 alla Wembley Arena di Londra, quando distrusse un inglese dagli occhi di ghiaccio, Alan Minter, che due anni prima con i suoi colpi aveva causato la morte del pugile di Tarquinia Angelo Jacopucci. In una notte intrisa di razzismo, molti aderenti al National Front, vedendo il loro pugile distrutto in tre round, scatenarono l’inferno lanciando sul ring qualunque cosa capitasse tra le loro mani

Ma ormai il titolo era di Hagler. Ci mise tanto a prenderselo, ma una volta compiuta la missione se lo tenne a lungo, senza mai tirarsi indietro di fronte a nessuno. Sette anni di regno e dodici difese. Affrontò tutti i migliori, da Roberto Duran a Thomas Hearns a John Mugabi

Fino allo spettacolare ma controverso ultimo match, contro Ray Sugar Leonard. Quando i giudici diederò il verdetto a Leonard, si sentì defraudato e disse basta. Smise di boxare.

Amava l’Italia. Si era trasferito a Milano, aveva anche tentato la carriera cinematografica (il ruolo più conosciuto in un film di medio successo dal titolo Indio), la moglie era napoletana e lui si era persino appassionato al calcio: simpatizzava per la Sampdoria. L’Italia amava lui. Come quando nell’ottobre del 1982 difese il titolo contro Fulgencio Obelmeijas al Teatro Ariston di Sanremo, un prodigio organizzativo di Rodolfo Sabbatini, il promoter romano che aveva stretto una collaborazione con uno dei grandi della boxe americana, Bob Arum. Il match iniziò alle 4 del mattino per permetterne la trasmissione in prima serata negli Stati Uniti, ma questo non scoraggiò nè il pubblico televisivo, nè tanto meno la folla che gremì il tempio della canzone. Hagler, mancino ma straordinariamente completo, quel match lo vinse alla quinta ripresa con un gancio destro.


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